Nel numero odierno di ItaliaOggi la posizione dell’Inrl a seguito dei dati Cerved sullo stato di salute delle Pmi e dell’analisi del Presidente del Cnel, Tiziano Treu sul monitoraggio contabile negli enti locali.
Nella seconda parte della pagina di ItaliaOggi il commento su una importante sentenza della corte di giustizia europea prontamente rilevata dal docente dei corsi di formazione Inrl, avvocato Cristina Guelfi: nella pronuncia dell’organo UE si stabilisce che il trasferimento d’azienda di un’impresa in stato di crisi in fase liquidatoria può avvenire non osservando i diritti tipici dei dipendenti coinvolti nel trasferimento d’impresa quale il passaggio del rapporto diretto da cedente a cessionario.
La sentenza è stata emessa lo scorso 13 novembre 2022 in occasione di una impugnazione da parte dei sindacati sulle modalità di esecuzione del trasferimento aziendale del personale dipendente di una società italiana attiva nel settore metalmeccanico.
“Il passaggio – osserva Guelfi – era avvenuto nell’ambito di una procedura attivata su istanza dell’impresa che versava in gravi difficoltà finanziarie il cui scopo era quello di approntare attività di analisi preparatorie volte poi a consentire nella successiva procedura di fallimento una modalità di liquidazione con la quale il patrimonio della cedente viene trasferito per ottenere il rendimento più elevato possibile per l’insieme dei creditori e mantenere al tempo stesso il più possibile l’occupazione. La fase preliminareaveva quindi visto la designazione di un curatore e di un giudice delegato, con l’incarico di osservare, informarsi ed essere informati, nonché esprimere il loro parere e, all’occorrenza, dare consigli, confermati poi nei rispettivi ruoli con il decreto di omologa dell’impresa in stato di crisi.
L’organizzazione sindacale lamentava che nella procedura fossero assenti la finalità liquidatoria ed il controllo di un’autorità pubblica richiesti per l’operatività della deroga ai diritti dei lavoratori. Per il sindacato, dunque, dovevano applicarsi le tutele ai lavoratori previste dall’articolo 3 e dell’articolo 4 della direttiva 2001/23/CE. Essi attribuiscono rispettivamente il diritto di una serie di tutele in loro favore tra cui il passaggio del rapporto senza soluzione di continuità da cedente a cessionario, la responsabilità solidale tra questi ultimi per i crediti risultanti alla data del trasferimento, il mantenimento delle condizioni di lavoro stabilite dal contratto collettivo applicato dal cedente, il divieto di licenziamento giustificato dal trasferimento d’azienda.
La corte di giustizia – sottolinea Guelfi – ha ritenuto che l’ambito di applicazione della normativa sul trasferimento di azienda non è limitato alle imprese la cui attività sia stata definitivamente interrotta prima della cessione o successivamente a quest’ultima ma che sia applicabile anche alle imprese che, seppure in fase di liquidazione, presuppongano una continuità d’impresa.
In altri termini la corte di giustizia UE ha ritenuto applicabile l’articolo 5 della direttiva 2001/23/CE che consente di non applicare le tutele sopra individuate nel caso in cui il cedente sia (i) oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura analoga (ii) aperta in vista della liquidazione dei suoi beni e (iii) sottoposta al controllo di un’autorità pubblica.
Nel caso di specie ricorrevano gli estremi per applicare il regime derogatorio di cui all’articolo 5 della direttiva 2001/23/CE dal momento in cui la procedura di liquidazione risultava al momento del trasferimento già avviata.
Così facendo, secondo la corte, si previene il rischio che l’impresa, lo stabilimento o la parte di impresa o stabilimento si svaluti prima che il cessionario rilevi, nell’ambito della procedura fallimentare aperta ai fini della liquidazione dei beni del cedente, una parte del patrimonio e/o delle attività del cedente ritenute redditizie.
Per la corte, dunque, la deroga mira ad evitare il grave rischio di un complessivo deterioramento del valore dell’impresa ceduta o delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera, che sarebbe in contrasto con le finalità del trattato.
Sul piano della giurisprudenza nazionale la possibilità per l’impresa in stato di liquidazione di non osservare il principio della continuità aziendale nei confronti del personale dipendente è oramai l’orientamento prevalente. Sulla base di questo filone la continuazione dell’attività di un’impresa avvenuta in esercizio provvisorio dopo la sentenza di omologa della liquidazione è sempre finalizzata all’esclusiva liquidazione dei beni. La prevalenza dello stato di liquidazione rispetto all’operatività della normativa nazionale in materia di tutela dei dipendenti nelle operazioni di cessione disciplinate in Italia dall’articolo 47 della legge 428/1990 è dovuta alla circostanza per cui i dipendenti, nel caso di un procedimento liquidatorio, possono adire il fondo garanzia dell’Ente Previdenziale italiano e come tale possono ottenere il pagamento delle somme dovute a titolo retributivo e contributivo, compreso il trattamento di fine rapporto, dal fondo stesso. Questa tutela – conclude l’avvocato Guelfi – non si applica ai creditori esterni all’azienda. Essi, infatti, incorrono nel rischio di non vedersi soddisfatti i propri crediti dall’azienda in liquidazione. In conclusione, per la giurisprudenza comunitaria si può derogare al principio della salvaguardia della tutela dei dipendenti tradizionalmente riconosciuta dalla normativa nazionale se occorre garantire la continuità della società all’interno di un processo liquidatorio.”