Su ItaliaOggi una lucida analisi del condirettore Marino Longoni sulla crisi d’impresa.
Le moratorie sui mutui concesse alle imprese durante la pandemia, scadute a fine 2021, stanno presentando il conto. Ed è un conto salato. Dal sondaggio realizzato da Studio Temporary Manager, che ItaliaOggi7 pubblica in esclusiva, emerge infatti che quasi la metà delle imprese che hanno beneficiato negli anni scorsi delle dilazioni sul pagamento delle rate dei mutui sono ora in grossa difficoltà nel far fronte al puntuale rimborso dei debiti pregressi. Addirittura, che il 100% delle imprese ha chiesto o ha intenzione di chiedere la rinegoziazione del debito e l’allungamento delle scadenze: nel 20% dei casi la richiesta è stata accolta dagli istituti di credito, mentre nel 30% dei casi è stata respinta (l’altro 50% ha intenzione di presentare la domanda ma non l’ha ancora fatto). Un chiaro segnale che il sistema economico nel suo complesso è alle prese con una grave crisi di liquidità.
E questo nonostante l’impetuoso tasso di crescita del Pil che, secondo le previsioni, porterà l’Italia nel 2022 ad avere un livello di crescita superiore a quello della Cina (al +3,4%, contro un +2,8% di Pechino).
Addirittura, il 39% degli intervistati ritiene molto o abbastanza probabile che la propria azienda possa entrare a breve in una situazione di stress finanziario. Infatti, l’ultimo dato fornito dal Cerved stima che i debiti siano giunti a quota 11 miliardi di euro (nel triennio 2020-22), mettendo a rischio fallimento quasi 100 mila imprese.
Anche perché le previsioni del futuro sono abbastanza fosche: alla domanda sugli scenari economici a 6/9 mesi, il 46% prevede un lieve peggioramento e il 15% un netto peggioramento, contro un 18% all’insegna della stabilità, mentre solo il 20% vede rosa.
Rimane quindi difficile capire come queste risposte e queste previsioni siano compatibili con la riforma della crisi d’impresa, appena entrata in vigore, che imporrebbe a quasi la metà delle imprese (quelle che dichiarano o che prevedono di essere in crisi di liquidità) di avvalersi delle procedure di composizione negoziata della crisi (con il risultato di affondare non solo le imprese che vi fanno ricorso, che perderebbero immediatamente la fiducia dei creditori, dei fornitori e degli stakeholder, ma delle stesse procedure per un eccesso di domanda, e quindi di mandare in tilt il sistema economico nel suo complesso). Invece, dalle risposte degli stessi intervistati risulta che solo l’1% vi ha già fatto ricorso, mentre il 10% ne sta valutando l’opportunità/necessità. Probabilmente si tratta di una riforma che deve essere ancora assimilata dagli stessi operatori. Ma non c’è dubbio che, se la situazione si svilupperà secondo le previsioni, le stesse regole di gestione della crisi d’impresa non potranno reggere all’urto di milioni di imprenditori in crisi di liquidità e dovranno quindi subire un ulteriore processo di revisione e adattamento. L’ennesimo.