Sul notiziario online ‘Informazione Fiscale’ un lungo e articolato approfondimento di Giovanbattista Palumbo sul tema della esdebitazione.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 15246 del 12 maggio 2022, ha risolto un contenzioso su un tema delicato quale quello della esdebitazione.
Tema che ripropone, tra le altre, l’urgenza dell’entrata in vigore del nuovo codice della crisi.
Nel caso di specie, il contribuente aveva chiesto di essere ammesso al beneficio della esdebitazione dai debiti residui di due procedure fallimentari, che lo avevano coinvolto quale socio illimitatamente responsabile di altrettante società di persone.
Il Tribunale aveva respinto la sua domanda, motivando la decisione col fatto che la prima procedura era stata chiusa l’11 febbraio 2016, e che, rispetto a tale termine, l’istanza era stata proposta oltre l’anno.
Il reclamo era poi stato a sua volta respinto dalla corte d’appello e avverso tale decisione era stato infine proposto ricorso per cassazione.
Per quanto di interesse, il ricorrente denunciava la violazione degli artt. 118, n. 4, 142 e 143 legge fall., per la ritenuta (dalla corte d’appello) incompatibilità delle due domande esdebitatorie per difetto del requisito della concessione del beneficio nel decennio antecedente la domanda, con conseguente ammissibilità della domanda esdebitatoria del socio anche in pendenza di altra procedura fallimentare.
Secondo la Suprema Corte la censura era in parte inammissibile e in parte infondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che, la stessa, nella prima parte, alludeva a quanto dalla corte territoriale sostenuto mediante l’affermazione che “la tesi della reclamante è volta, sostanzialmente, a superare la condizione prevista dall’art. 142 primo comma n. 4 l.f.”, laddove tale norma
“prevede quale condizione perché venga concessa la esdebitazione che il fallito non abbia beneficiato di altra esdebitazione dei dieci anni precedenti la richiesta”
Per questa parte il motivo era inammissibile, perché la riportata affermazione non integrava una ratio decidendi, quanto piuttosto un semplice argomento speso dalla Corte del merito per rafforzare la tesi che atteneva alla intempestività della domanda decorso l’anno dalla chiusura della prima procedura.
Nella seconda parte il motivo assumeva, invece, che il termine, in ogni caso, non doveva decorre, non essendo ancora avvenuta la chiusura del secondo fallimento, nel quale lo stesso ricorrente era stato ulteriormente coinvolto, sempre quale socio illimitatamente responsabile.
Per questa parte, secondo la Corte, il motivo era infondato.
Evidenzia la Cassazione che l’art. 143 legge fall. prevede che l’esdebitazione possa essere accordata “con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del debitore presentato entro l’anno successivo”.
In tal modo la norma rende palese che la domanda di esdebitazione deve essere temporalmente parametrata alla sola circostanza della avvenuta chiusura dello specifico fallimento in relazione al quale la persona fisica intende invocare il beneficio.
E questo è ovvio perché l’esdebitazione consiste nel beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti in quel fallimento.
E in base a tale principio era dunque esatto il rilievo della corte d’appello, secondo il quale nessuna incidenza sul termine decadenziale poteva discendere dalla eventuale pendenza di altra procedura fallimentare coinvolgente la medesima persona fisica.
Infine, con altro motivo di impugnazione, quello su cui preme appuntare maggiormente l’attenzione, si deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 142 legge fall. in ordine alla condizione di soddisfacimento, almeno parziale, dei creditori concorsuali, desunto dalla irrisorietà della percentuale relativa ai crediti privilegiati, soddisfatti al 13,89 per cento.
Tale censura, secondo la Cassazione, era invece fondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che la corte d’appello aveva ritenuto dirimente, al fine disattendere la domanda di esdebitazione relativa al fallimento, che in questo la valutazione ponderata della percentuale di pagamento in concreto realizzata (13,89 % dei privilegiati) fosse tale da non integrare il requisito della “parziale soddisfazione” dei creditori concorsuali.
I giudici di secondo grado avevano spiegato le loro ragioni semplicemente osservando che il totale dei creditori insinuati ammontava a 2.954.494,25 EUR in privilegio e 5.826.698,27 EUR in chirografo, per un totale insinuato pari a 8.781.102,62 EUR, e che la misura del 13,89 per cento, entro la quale avevano trovato soddisfacimento i soli privilegiati, era dunque irrisoria rispetto al passivo nel suo complesso.
Tale affermazione, però, secondo la Suprema Corte, non soddisfaceva l’onere motivazionale e non si armonizzava comunque con la giurisprudenza di legittimità.
Esdebitazione e riforma del codice della crisi: dalla posizione della Corte di Cassazione al quadro delle novità
In tema di esdebitazione, infatti, il beneficio della inesigibilità verso il fallito persona fisica dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti richiede, ai sensi dell’art. 142, comma secondo, legge fall., che vi sia stato il soddisfacimento, almeno parziale, dei creditori concorsuali.
Tale condizione si intende realizzata, in un’interpretazione costituzionalmente orientata e coerente con il favor per l’istituto già formulato dalla legge delegante (art. 1, comma 6, lett. a), n. 13 della legge 14 maggio 2005, n. 80), anche quando alcuni di essi non siano stati pagati affatto.
È infatti sufficiente che, con i riparti, almeno per una parte dei debiti esistenti, oggettivamente intesi, sia consentita al giudice del merito, secondo il suo prudente apprezzamento, una valutazione comparativa di tale consistenza rispetto a quanto complessivamente dovuto (cfr., Cass. Sez. U n. 24214-11).
Tale principio, rileva la Cassazione, va portato a compimento, nel senso che la valutazione del presupposto (per il quale il beneficio non può essere concesso “qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali”), pur rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, deve essere operata secondo un’interpretazione coerente con il favor debitoris che ispira la norma.
E, quindi, ove ricorrano i presupposti di cui al primo comma dell’art. 142, il beneficio dell’esdebitazione deve essere concesso, a meno che i creditori siano rimasti totalmente insoddisfatti, o siano stati soddisfatti in percentuale “affatto irrisoria” (cfr., Cass. n. 7550-18).
Considerato che dalle stesse Sezioni unite proviene il principio che reputa irrilevante la circostanza che il soddisfacimento parziale attenga solo a una delle categorie di creditori (i privilegiati), non può dunque affermarsi – così genericamente, come aveva fatto dalla corte territoriale – che sia irrisoria, in rapporto al passivo nel suo complesso, la percentuale di soddisfacimento del 13,89 per cento.
Ad una simile percentuale, affermano i giudici di legittimità, non è infatti pertinente associare in sé e per sé il concetto di completa irrisorietà, neppure in base alla presa a parametro dell’intero passivo.
Per contro, andava affermato il principio secondo cui, in tema di esdebitazione, la definizione di soddisfacimento irrisorio resta parametrata a percentuali minime e in effetti tali da considerarsi irrilevanti, in modo da poter esser ritenuta tale dal giudice del merito solo ove il concreto soddisfacimento non sia tale da rappresentare il concetto (di soddisfazione) neppure parzialmente.
A prescindere dallo specifico caso processuale, in via generale, si ricorda comunque che la nuova data per l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa è stata rinviata al 15 luglio 2022 (prima l’entrata in vigore era stata rinviata al 16 maggio 2022).