Terzo settore: le srl si fanno largo e arrivano al 31%


Da ItaliaOggi.

Le Srl cominciano a farsi largo nel terzo settore. Quasi un’impresa sociale su cinque costituita dopo la riforma del 2016 ha assunto la forma della società di capitali, con netta prevalenza di quelle a responsabilità limitata. Guardando solo al 2023, il dato sale al 31,1%. Una percentuale destinata a crescere dopo l’arrivo del tanto agognato parere Ue sul regime fiscale previsto dalla riforma del terzo settore, che aprirà la strada a una serie di vantaggi e agevolazioni a favore delle imprese sociali.

Le imprese sociali

I numeri sono presi dal rapporto di Fondazione Terzjus, che dedica ampio spazio al segmento delle imprese sociali, ovvero l’unica forma giuridica che permette a una società di capitali di iscriversi al Runts, il Registro unico nazionale del terzo settore. Al 31 dicembre 2024 risultavano iscritte 22.825 imprese sociali, quindi il 17,5% del totale degli enti del Registro. Un dato in calo rispetto al 2023, quando erano 24.314 (il 21,4% del totale). Secondo gli analisti, questo calo non dipende da una minore attrattività della categoria, «apparendo semmai il contrario», ma dal fatto che «tante cooperative sociali inattive da diversi anni sono state cancellate in massa dal Registro delle imprese».

La crescita delle Srl

Attualmente, la figura dell’impresa sociale è caratterizzata «da un maggiore pluralismo»; prima della riforma, infatti, il 97% delle imprese sociali era costituito da cooperative sociali e loro consorzi. Una percentuale che, al 31 dicembre 2023, risulta ancora sopra al 90%. Ma, come accennato, «il 31,1% delle imprese sociali costituito dopo la riforma ha assunto una forma giuridica e organizzativa diversa da quella della cooperativa sociale, e più specificatamente il 18,3% la forma delle società di capitali e l’11,3% altre forme». Nel 2023, «delle 527 imprese sociali iscrittesi nell’apposita sezione del Registro delle imprese, “solo” il 52% erano cooperative sociali. Le società di capitali erano invece il 31,1%, mentre l’16,9% era costituito da associazioni, fondazioni, società di persone e cooperative». Per quanto riguarda le società di capitali, si tratta «prevalentemente di società a responsabilità limitata».

Un appeal destinato a crescere

Oggi, quindi, il numero di imprese sociali non cooperative che si iscrive annualmente al Registro «sta quasi per eguagliare quello delle cooperative sociali». Per arrivare al pareggio, o «addirittura al sorpasso», bisognerà «verosimilmente attendere il tassello ancora mancante, ovverosia, l’attivazione delle norme fiscali di cui all’art. 18, dlgs.112/2017». Fondazione Terzjus fa riferimento al già citato parere Ue. Come raccontato a ItaliaOggi da Maria Teresa Bellucci, viceministro del lavoro con delega al terzo settore, i tempi sono ormai maturi: «abbiamo concluso l’interlocuzione con la Commissione Competition dell’Ue, caratterizzata da un approfondito e positivo interesse da parte del consesso europeo per l’unicità e ampiezza del panorama degli Enti impegnati nella solidarietà sociale in Italia.

Possiamo confidare con una certa sicurezza di ricevere a breve un riscontro favorevole da parte della commissione». Il parere, infine, peserà fortemente sul destino delle Onlus, che non potranno più mantenere la vecchia forma giuridica. Alcune di esse (circa 2 mila su 20 mila) hanno già operato la trasmigrazione al Runts, ma soltanto l’1,7% ha scelto la forma di impresa sociale.

Anche qui, il nuovo regime fiscale potrebbe alzare di molto questa percentuale, accrescendo a sua volta la presenza di imprese sociali nel Registro.

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