Dal Sole24Ore.
Nel Piano strutturale di bilancio che domani entra nel vivo dell’esame parlamentare con le audizioni alle commissioni Bilancio di imprese, professionisti e parti sociali il paragrafo intitolato a «Programmazione e monitoraggio della spesa» apre non a caso il capitolo che elenca le «nuove sfide nella gestione della finanza pubblica» lanciate dalla riforma delle regole fiscali comunitarie. Il rafforzamento della spending review entra poi insieme a politiche per la natalità e alle due transizioni verde e digitale nella lista delle «linee d’azione per il perseguimento delle priorità europee», e quindi negli impegni di riforma con cui l’Italia chiede alla Commissione Ue di allungare il percorso di aggiustamento dei conti da quattro a sette anni.
In gioco c’è non tanto l’indicazione di nuovi obiettivi di taglio da assegnare ai vari ministeri, procedura che fin qui ha di solito generato importi tutt’altro che decisivi per le sorti di deficit e debito e che ora dovrà senza dubbio diventare più ambiziosa. Il cuore dell’intervento batte più in profondità, e chiede alle pubbliche amministrazioni di dotarsi degli strumenti indispensabili per riuscire a valutare gli effetti reali della spesa, per «migliorare i processi di attuazione dell’intervento pubblico» e soprattutto per «intervenire tempestivamente in caso di scostamento della spesa dal sentiero programmato». È una «sfida» non da poco per un Paese che nel giro di un paio d’anni ha visto quintuplicarsi i costi di una singola misura come il Superbonus; ma è cruciale per rispettare un Patto di stabilità che nella sua nuova versione chiede di seguire per sette anni una traiettoria predefinita, e piuttosto impegnativa, di spesa netta, e che tra le tante caratteristiche fin qui trascurate nel dibattito pubblico ha quella di bandire a priori l’ipotesi di «tesoretti», da sempre più immaginari che reali, impedendo di «utilizzare le eventuali maggiori entrate tendenziali per il finanziamento di nuovi interventi», come sottolinea lo stesso Piano.
Il punto è «migliorare la programmazione e il controllo della spesa pubblica e responsabilizzare i centri di spesa», spiega il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nell’introduzione al documento. Come?
Le linee principali di intervento, per ora solo abbozzate dal Piano, sono tre: la definizione di un sistema di incentivi «affinché le amministrazioni pubbliche abbiano la capacità di valutare, anche ai fini della proposizione di specifiche modifiche, la spesa storica e di allocare le risorse per gli interventi che sono stati oggetto di una valutazione positiva», il potenziamento della «funzione di controllo e monitoraggio» attraverso l’attività degli ispettori della Ragioneria generale dello Stato e l’indicazione che «sarà rafforzato il ruolo svolto dagli organi di revisione e sindacali nelle amministrazioni pubbliche, enti e società che ricevono contributi ordinari o straordinari a carico della finanza pubblica».
Sul piano del metodo la linea d’intervento più ambiziosa, e anche più incerta, è la prima. Mentre è la terza, quella sul rafforzamento dei revisori, a catalizzare l’attenzione dei professionisti che lavorano con la Pa, in particolare in Comuni, Province e Regioni.
L’aumento dei revisori e la definizione più puntuale del loro ruolo è già scritta in un disegno di legge governativo di riforma del Testo unico degli enti locali, che però pare essersi inabissato tempo fa dopo un esame preliminare in consiglio dei ministri e ora dovrebbe tornare in agenda (è di nuovo collegato alla manovra). Sul piano pratico, lo snodo più rilevante è nel ritorno del collegio di tre professionisti negli enti fra 5mila e 15mila abitanti, ora affidati a un revisore unico come i Comuni più piccoli.
In termini aggregati, è lo stesso Piano di bilancio a sottolinearlo, negli enti territoriali in realtà la spending è già cosa fatta; sia per il passato, quando la riduzione della spesa corrente in termini reali del 3,8% registrata nel 2023 ha determinato la riduzione dell’1% nelle uscite correnti del complesso delle Pa, sia per il futuro, dal momento che nei prossimi anni le leggi già in vigore chiedono un contributo da 3,84 miliardi. Proprio per questo la manovra non chiederà nuovi tagli diretti agli enti locali ma introdurrà un meccanismo basato su obblighi di accantonamento di risorse da liberare nell’anno successivo vincolandole a spesa di investimenti compatibilmente con le dinamiche dei saldi di finanza pubblica (Sole 24 Ore del 27 settembre). Ma anche a livello territoriale l’aggregato della spesa netta posto al centro dei nuovi vincoli comunitari andrà blindato ex ante (da qui gli accantonamenti), e andranno individuate in modo puntuale le «entrate discrezionali» che in base alle regole Ue permettono di finanziare lo sforamento dei livelli di uscite predefiniti.