Dal Sole24Ore..
Può accedere alla composizione negoziata della crisi anche l’impresa insolvente, che propone un piano liquidatorio senza alcuna continuità né diretta, né indiretta. Lo ha affermato il Tribunale di Perugia (decreto 15 luglio 2024) secondo il quale l’articolo 12 del Codice della crisi ricomprende nelle finalità delle trattative anche il puro e semplice risanamento dell’ «esposizione debitoria» con i proventi della liquidazione dell’attività.
La tesi favorevole
Sul tema la giurisprudenza è divisa. Altri tribunali hanno infatti escluso l’accesso a chi propone piani liquidatori: ad esempio Tribunale di Torre Annunziata del 24 gennaio 2024 e Tribunale Pavia 8 luglio 2024 (si veda Il Sole 24 Ore del 9 settembre 2024).
Il decreto correttivo non affronta direttamente il tema, ma la richiesta di tutela dei posti di lavoro (nuovo articolo 12, comma 2) rafforza l’orientamento che esclude l’accesso.
La giurisprudenza prevalente ammette alla composizione negoziata anche imprese insolventi; l’insolvenza è, infatti, “reversibile” tramite stralci di debiti o proventi della dismissione di cespiti. Il piano liquidatorio – secondo i giudici perugini- può rientrare tra le soluzioni “fisiologiche” previste dall’articolo 23, comma 1, del Codice della crisi: non è compatibile con il contratto per la continuità biennale (lettera a), ma potrebbe essere collegato alla convenzione di moratoria (lettera b) o agli accordi per l’esenzione da revocatorie (lettera c).
In conclusione, prosegue il tribunale, non sono ostativi alla nomina dell’esperto né lo stato di liquidazione dell’impresa, né la natura liquidatoria del piano, se il valore degli attivi liquidabili, accompagnato da uno stralcio, consente di elaborare un piano accettabile dai creditori. Eventuali accessi meramente dilatori, con attivi irrisori, saranno repressi come abusi; ma nel caso esaminato dal Tribunale era prevista la cessione di un’immobile da parte di una società immobiliare e quindi i giudici hanno ritenuto che vi fosse coincidenza tra attività liquidatoria ed attività caratteristica.
L’orientamento contrario
I tribunali che, invece, hanno negato l’accesso alla composizione negoziata dell’impresa insolvente che propone un piano esclusivamente liquidatorio sottolineano l’assenza di benefici per la collettività. Distinguono infatti fra le società “in stato di” liquidazione (quelle cioè che hanno deliberato lo scioglimento), e quelle che effettuano un percorso di risanamento “attraverso la liquidazione” del patrimonio.
Nel primo caso, lo stato di liquidazione non implica di per sé la cessazione dell’impresa e, anzi, è finalizzato alla cessione dell’azienda in funzionamento. Nulla vieta alla società di ricercare, attraverso il percorso negoziato, la migliore strategia per chiudere la liquidazione “in bonis”. Ad esempio, il contratto per la continuità biennale o la convenzione di moratoria, stipulati grazie all’esperto, possono consentire una più serena cessione dell’azienda (risanata) alla scadenza dell’accordo. Ed è “risanamento” anche la riduzione negoziata del debito, per renderlo sostenibile con l’attivo sociale. Dopo la messa in liquidazione, infatti, non rileva più l’insolvenza “dinamica” (basata sui tempi di entrate e uscite di cassa), bensì quella “statica” (da ultimo, Cassazione 12156/2024), ossia il confronto tra debiti totali e valore di liquidazione del patrimonio. Non è quindi irragionevole ricorrere alla composizione negoziata per prevenire o superare l’insolvenza “statica”: le trattative con i creditori, finalizzate a stralci o moratorie, possono infatti conservare l’avviamento e altri valori intangibili in vista del migliore realizzo. Si evita così il danno all’economia prodotto dall’espulsione di un’azienda (se vitale) dal mercato.
Ma quando la continuità non è possibile, nemmeno attraverso un terzo (acquirente, affittuario o conferitario) il ricorso alla composizione negoziata serve solo per avere “saldi e stralci” mentre l’azienda viene disgregata. Non c’è quindi salvaguardia dei valori aziendali, dei lavoratori o delle relazioni con clienti e fornitori. E in assenza di esternalità positive del percorso, è difficile parlare di “risanamento” se l’impresa cessa di esistere.