Dal Sole24Ore.
Regge all’esame di costituzionalità la disciplina della prescrizione per l’azione di responsabilità nei confronti dei revisori. La Corte costituzionale, infatti, con la sentenza n. 115 depositata ieri e scritta da Emanuela Navarretta, ha ritenuto non irragionevole fare decorrere il termine di cinque anni della richiesta di risarcimento danni, presentata dalla società che ha assegnato l’incarico, dalla data di deposito della relazione sul bilancio.
Infondata quindi la questione di legittimità sollevata dal tribunale di Milano che sottolineava, tra l’altro, un deficit di ragionevolezza, in contrasto quindi con l’articolo 3 della Costituzione, da un lato, per la irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina della prescrizione per le azioni di risarcimento nei confronti di sindaci e amministratori; dall’altro per fare decorrere il termine anche quando il danneggiato non è ancora titolare del diritto risarcitorio o quando non può essere solerte nell’esercizio di quel diritto, perché il diritto non è ancora sorto o perché non può essere a conoscenza del danno che ha subito.
Per la Corte va tenuta ferma la distinzione fra l’azione risarcitoria che può far valere la società che ha conferito l’incarico di revisione, e le pretese che possono avanzare, come danneggiati, i soci o i terzi.
Nel primo caso, l’illecito nei confronti della società si compie con l’inadempimento da parte del revisore, cioè con la relazione di revisione che sia erronea o scorretta: è allora il momento del suo deposito a produrre l’illecito contrattuale. Nell’ipotesi, viceversa, dei danni a soci o a terzi, il deposito di una relazione di revisione erronea o scorretta delinea solo una condotta che provoca un affidamento potenzialmente idoneo a sviare la loro libertà negoziale. Pertanto, sino a quando non risulta che sono state compiute scelte direttamente condizionate dalla relazione, i soci e i terzi non hanno alcun interesse a far valere una pretesa, non avendo ancora subito un danno.
La Corte ricorda poi che il legislatore ha un ampio margine di discrezionalità nel disciplinare la decorrenza della prescrizione e che, nel caso delle azioni risarcitorie, deve bilanciare l’interesse del danneggiato a far valere il proprio diritto al risarcimento con le esigenze di certezza del diritto e di tutela dell’interesse del danneggiante a non doversi difendere a distanza di molto tempo.
La norma contestata allora realizza, nella lettura della Consulta, una forma di tutela minima del danneggiato. Nel caso, infatti, della responsabilità contrattuale, ricorda la sentenza, l’inadempimento genera immediatamente un danno costituito dalla perdita economica collegata al valore (minore o nullo) della prestazione inesattamente eseguita, qual è la revisione inesatta e scorretta. Sin dall’inadempimento del debitore (dal deposito della relazione), il creditore vanta, dunque, un interesse attuale a far valere una pretesa risarcitoria.
Di conseguenza, malgrado la posizione del danneggiato sia certamente meno protetta di quanto sarebbe se la prescrizione decorresse dalla oggettiva conoscibilità di tutti i danni prodotti, tuttavia, nel bilanciamento di interessi con la posizione particolarmente svantaggiata del revisore e con le esigenze di certezza del diritto, «non è manifestamente irragionevole che il legislatore abbia adottato un termine che si colloca a un livello di tutela minima del danneggiato, essendo quest’ultimo favorito dalla responsabilità solidale del revisore» con gli amministratori.
Quanto al rischio che una condotta dolosa del revisore possa nascondere i danni, la Corte ricorda che, in questo caso, può trovare applicazione una delle cause di sospensione della decorrenza del termine di prescrizione.