Guardia di Finanza sulla contabilità parallela con mezzi fraudolenti: le soglie di punibilità


Da Telefisco/Sole24Ore.

Due soglie di punibilità per il reato con «altri mezzi fraudolenti»

La tenuta di una contabilità parallela non ufficiale è sufficiente a integrare gli altri mezzi fraudolenti necessari per la configurazione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (ex articolo 3, decreto legislativo 74/2000) dal momento che in concreto la condotta illecita posta in essere si sostanzia in una omessa fatturazione (ex comma 3 del citato articolo 3) e nel riepilogo di tali omissioni nella citata contabilità parallela?


L’articolo 3 del decreto legislativo n. 74/2000 punisce, con la reclusione da tre a otto anni, chiunque indichi in una delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e a indurre in errore l’amministrazione finanziaria.

La configurazione del delitto è, inoltre, subordinata al superamento di due soglie di punibilità che fanno riferimento all’imposta evasa e agli elementi attivi sottratti all’imposizione anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi.

Trattasi, in sostanza, di un reato caratterizzato da una struttura “bifasica”, in quanto presuppone da un lato la compilazione e la presentazione di una dichiarazione mendace, dall’altro la realizzazione di un’attività ingannatoria prodromica, purché di quest’ultima, ove posta in essere da altri, il soggetto agente abbia consapevolezza al momento della presentazione della dichiarazione (Cassazione penale, Sezione III, 15 febbraio 2019, n. 15500).

Come precisato al comma 3 della norma in commento, la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali non costituisce un mezzo fraudolento.

Pertanto, ai fini dell’integrazione della fattispecie in esame, occorre un quid pluris rispetto alla mera infedeltà dichiarativa, rappresentato dalla presenza di una condotta insidiosa, consistente nel compimento di operazioni simulate o nell’utilizzo di artifici idonei a costituire ostacolo all’accertamento (Cassazione penele, Sezione III, 4 luglio 2024, n. 39971).

Come ribadito in molteplici occasioni dalla giurisprudenza di legittimità, la realizzazione mediante appositi artifici di una contabilità “parallela”, affiancata a quella ufficiale, finalizzata all’evasione delle imposte dirette e dell’Iva, può costituire, al ricorrere degli altri presupposti, una condotta idonea a integrare la fattispecie delittuosa di cui all’articolo 3 del Dlgs n. 74/2000 (Cassazione penale, Sezione. III, sentenza 10 aprile 2002, n. 13641; Cassazione penale, Sezione III, sentenza 19 settembre 2012, n. 35824; Cassazione civile, Sezione V, sentenza del 24 novembre 2021, n. 36474).

Ciò può accadere, ad esempio, nell’ipotesi di creazione o di utilizzo di un apposito software gestionale finalizzato alla memorizzazione, in maniera occulta, su supporti informatici esterni, come pendrive o hard disk, dei ricavi o compensi non transitati dalla contabilità ufficiale, potendo una tale condotta configurare il quid pluris fraudolento previsto dalla fattispecie.

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Dispersione della garanzia patrimoniale e sequestro preventivo

Sulla base di quali parametri/criteri le unità operative del Corpo rilevano (ex articolo 12 bis, decreto legislativo 74/2000) la sussistenza del concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo che consente il sequestro preventivo o il suo mantenimento nonostante la rateazione in corso da parte del reo?

Il decreto legislativo n. 87 del 2024 ha apportato significative modifiche alla disciplina dei reati tributari, intervenendo, tra l’altro, anche sui presupposti legittimanti l’adozione di misure cautelari reali.

Il riformulato comma 2 dell’articolo 12-bis del Dlgs n. 74/2000, recependo un consolidato orientamento giurisprudenziale, esclude l’applicabilità del sequestro a fini di confisca, qualora il debito tributario sia in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, e il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti.

Tale preclusione non opera, tuttavia, nelle ipotesi in cui sussiste il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto anche conto della gravità del reato.

In ragione di quanto sopra, i reparti del Corpo hanno dunque il compito di evidenziare alla competente Autorità giudiziaria, ove si ritenga di proporre l’adozione di sequestri preventivi per reati tributari:

-la rilevata assenza di procedure di estinzione del debito fiscale;

-in caso contrario, ogni circostanza acquisita nel corso delle indagini utile al fine di consentire la valutazione della particolare gravità del reato e, in particolare, l’esistenza di un concreto pregiudizio per la pretesa erariale.

A mero titolo di esempio, si fa riferimento all’emersione di elementi da cui desumere che il piano di rateizzazione sia stato avviato con lo scopo di evitare misure cautelari ma con la volontà di non portarlo a compimento, ovvero di condotte volte a dissipare i beni potenzialmente aggredibili.

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