Dal Sole24Ore.
Anche nella composizione negoziata la durata dei piani di risanamento in continuità diretta non può spingersi oltre cinque anni. Sono ammesse soluzioni di durata superiore solo se adeguatamente giustificate dal debitore con congrua motivazione, validata dall’attestatore.
Lo ha chiarito il Tribunale di Mantova che, con l’ordinanza dell’11 ottobre 2024, ha rigettato l’istanza di conferma delle misure protettive, applicando anche nella composizione negoziata l’orientamento maggioritario di giurisprudenza e dottrina formatosi in materia di concordato e applicato anche al piano del consumatore (Tribunale di Roma, decreto del 21 febbraio 2024).
Il tetto di durata
I giudici di Mantova hanno ritenuto l’arco temporale di dieci anni previsto dal piano di risanamento predisposto dal debitore (ancorché in fieri, in pendenza delle trattative) inidoneo al superamento della crisi rispetto alle (modeste) dimensioni dell’impresa e non sufficientemente dettagliato, tanto con riferimento alla concreta possibilità di realizzare i flussi ipotizzati nell’arco di piano, quanto all’adozione di misure imprenditoriali di natura straordinaria nemmeno adombrate.
Secondo il Tribunale di Roma, il limite temporale vale anche per il piano del consumatore e, seppure sia ammesso superare a date condizioni l’orizzonte di tre/cinque anni, vi è comunque un limite invalicabile di dieci anni. Sempre il tribunale di Roma (provvedimento del 24 aprile 2023) aveva negato il cram down in un accordo di ristrutturazione che prevedeva una rateazione fiscale oltre cinque anni.
Le linee guida professionali
L’orientamento giurisprudenziale è coerente con i “Principi per la redazione dei piani di risanamento” e con i “Principi di attestazione dei piani di risanamento” emanati dal Consiglio nazionale dei commercialisti.
I primi, pubblicati nel 2022, limitano l’orizzonte temporale dei piani in continuità diretta nell’arco massimo di cinque anni, poiché durate superiori si scontrano con inevitabili problemi di prevedibilità analitica. Anche i “Principi di attestazione”, aggiornati nel 2024, ricordano che un orizzonte temporale troppo lontano è problematico per l’attestatore.
Tempi più lunghi in casi specifici
Il piano si può spingere oltre cinque anni solo se vi sono elementi di certezza, quali, ad esempio, contratti vincolanti di durata superiore con primarie aziende, come avviene nel settore degli idrocarburi, delle utilities o delle gestioni immobiliari o alberghiere. Lunga durata hanno anche gli affidamenti di servizi portuali o aeroportuali, trasporti pubblici, servizi cimiteriali o gestione di farmacie pubbliche, tutti i casi in cui la presenza di diritti di concessione di lunga durata, talora di molti decenni, consente (ed anzi impone) una pianificazione pluriennale di pari ampiezza.
Orizzonte del risanamento
In ogni caso, l’arco temporale dei piani di continuità deve comprendere il momento in cui:
siano ripristinate le normali condizioni di finanziamento (e di fido) nel caso di continuità aziendale;
nel caso di prosecuzione di contratti pubblici, siano ripristinate condizioni che consentano un regolare adempimento degli stessi.
Ad eccezione della seconda ipotesi e salvo che non vi siano specifiche e oggettive ragioni che devono essere adeguatamente motivate, il piano deve quindi prevedere che il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e il riequilibrio della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria avvenga in un arco temporale massimo di cinque anni, anche nei casi in cui il piano si estenda a periodi ultra-quinquennali (si pensi, ad esempio, ai casi di rateazione del debito erariale in settantadue o centoventi rate mensili). I “Principi di attestazione dei piani di risanamento” puntualizzano, infine, che l’attestatore deve adeguatamente pronunciarsi sull’attendibilità delle previsioni successive al quinto anno.
In caso di liquidazione, invece, i piani devono estendersi sino a l momento della completa soddisfazione dei creditori.