Dal Sole24Ore.
La futura limitazione di responsabilità per i sindaci di società si scontra con il problema della applicabilità della nuova norma di favore ai procedimenti giurisdizionali già in corso all’atto di entrata in vigore della norma stessa nonché, ancor prima, ai fatti dannosi accaduti e non ancora oggetto di procedimento giurisdizionale, in quanto o semplicemente contestati, ma non azionati in un giudizio, oppure per i quali nemmeno ancora vi sia un claim.
Questo è il classico problema della applicazione di una nuova norma a un rapporto giuridico già instaurato in precedenza e che dunque sta producendo i suoi effetti nel momento in cui la nuova norma entra in vigore: nel caso specifico, si tratta dell’obbligazione di risarcimento del danno derivante dal fatto dannoso del quale un sindaco si sia reso autore.
Il principio generale, che è assai complicato non ritenere applicabile nel caso concreto, è quello proclamato nell’articolo 11 delle cosiddette “disposizioni sulla legge in generale”, poste come premessa al Codice civile del 1942: «La legge non dispone che per l’avvenire» e «non ha effetto retroattivo»; principio che è derogato solo per la legge penale (è il cosiddetto favor rei) la quale, entrando in vigore, disponga un trattamento più favorevole per il reo (in questo caso, infatti, l’articolo 2 del Codice penale ne dispone espressamente la retroattività e quindi l’applicazione del trattamento sanzionatorio meno gravoso).
Se è accaduto un evento dannoso durante l’incarico di vigilanza del sindaco (a prescindere dal fatto che sia già stato contestato o che un giudizio sul punto sia già iniziato), un diritto al risarcimento del soggetto danneggiato si è già originato e significa evidentemente ragionare in termini di retroattività se si ritiene che il corrispondente obbligo riceva, da una nuova norma, una delimitazione non esistente nel momento in cui l’obbligazione di risarcimento è sorta.
Inoltre, non trattandosi di materia penale, difficilmente può trarsi argomento dal clima di favore che la nuova proposta di legge (A.S. 1155, ora in seconda lettura al Senato) indubbiamente instaura a favore dei sindaci.
Nel caso specifico si scontrano due interessi: da un lato, quello dei sindaci a ritenere limitata la propria responsabilità ai sensi della nuova norma (nonché di ritenere il termine iniziale della prescrizione quinquennale non più dal momento di cessazione dalla carica, bensì dal deposito della relazione al bilancio dell’esercizio in cui il fatto dannoso è stato commesso); dall’altro, l’interesse del danneggiato a conseguire l’auspicato risarcimento.
Intendere la norma in modo retroattivo significa evidentemente andar contro quest’ultimo interesse e ciò rende non solo assai ripida un’interpretazione che, appunto, intendesse la norma emananda caratterizzata da un sapore retroattivo, ma anche rende non agevole l’attuazione dell’idea di richiedere al legislatore, intanto che l’iterdella proposta è in corso, un’espressa previsione di retroattività, stante la costante ammonizione della Corte costituzionale sul punto che «la modifica retroattiva di situazioni giuridiche in senso peggiorativo può essere ammessa solo ove la retroattività non finisca per trasmodare in regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti» (sentenze n. 822/1988, n. 283/1993 e n. 6/1994).