Dal Sole24Ore un articolo di Giovanni Negri su una sentenza della Cassazione.
La Cassazione chiarisce la natura della responsabilità dei professionistiNon si possono contestare reati che esorbitano dalla funzione di revisioneGiovanni Negri
Il reato di falso nelle relazioni dei revisori non ha legami né con il falso in bilancio, articolo 2621 del Codice civile, né con la bancarotta. Pertanto non può rappresentare una modalità di concorso nella commissione di questi delitti, «pena la torsione dei principi di legalità e tipicità». Inoltre, la condotta sanzionata dal reato di falso nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale, già disciplinato dall’abrogato articolo 2624 Codice civile e attualmente previsto dall’articolo 27 del decreto legislativo n. 39 del 2010, ha sempre natura commissiva, anche nel caso in cui si concretizza nell’occultamento di informazioni, visto che ha come presupposto il compimento di un’azione, consistente nella stesura della relazione.
Lo afferma la Cassazione con la sentenza 47900 della V sezione penale. Una pronuncia che fa chiarezza su profili importanti di responsabilità dei professionisti. «È una decisione particolarmente importante – sottolinea Vittorio Manes avvocato e docente a Bologna, che ha visto accolte dalla Corte la tesi difensiva -, anche per l’assenza di precedenti. La Cassazione ha mostrato particolare rigore nel riaffermare i principi di legalità e di tipicità del reato: tutte garanzie fondamentali che sarebbero state stravolte se fosse stato applicato il reato di bancarotta societaria a soggetti che non hanno i doveri e i penetranti poteri né di chi svolge compiti di gestione, come gli amministratori, né di chi svolge compiti di controllo interno, come i sindaci».
«In definitiva- conclude Manes -, si è chiarito che ai revisori potranno essere contestati le fattispecie di falso agli stessi tassativamente riferibili, ma non altri e diversi reati riferibili solo a soggetti interni alla gestione o al controllo dell’impresa a societaria».
La sentenza, infatti, ricorda, condividendola, la tesi che vede il legislatore, nel delineare le fattispecie di bancarotta impropria, collegare l’imposizione di particolari doveri a penetranti poteri, declinati dalla disciplina civilistica a carico di determinati soggetti per la tutela dell’impresa individuale o della società, dei soci e dei creditori. E questa prospettiva ha tenuto conto della somma dei poteri che si concentrano nell’organo amministrativo (che governa i meccanismi societari, è informato delle notizie più riservate ha accesso alle fonti di finanziamento determina le attività patrimoniali, effettua le scelte operative ) e in quello, sempre interno, di controllo (eletto dalla medesima maggioranza assembleare che esprime gli amministratori, i soggetti la cui attività e assoggettata a controllo). Un quadro di responsabilità al quale il revisore rimane estraneo.
Questo non esclude che il revisore possa fornire il suo contributo nella commissione del falso in bilancio, per esempio assicurando agli amministratori una relazione positiva, e, di conseguenza, a quello di bancarotta societaria. «Tuttavia – sottolinea la sentenza – si tratta di concorso che passa attraverso le ordinarie forme di cui all’articolo 110 del Codice penale (e relativi oneri probatori) e non attraverso una non consentita combinazione di altre norme incriminatrici, foriera di inammissibili scorciatoie probatorie».
Il giudice dovrà così motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa e preparatoria e precisare sotto quale forma si sia manifestata, «in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’articolo 110 del Codice penale, con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà».
La Cassazione puntualizza poi che l’omessa dolosa esecuzione dei controlli contabili da parte dei revisori ha rappresentato un antefatto poi sfociato in una condotta commissiva, costituita dalla predisposizione da parte dei professionisti di relazioni con cui è stata espresso un giudizio positivo su chiarezza e correttezza dei bilanci, nascondendo la falsità di una serie di operazioni.