Dal Sole24Ore.
L’economia del nostro Paese è trainata dalle Pmi, come più volte ricordato anche su queste pagine. Da ultimo, si veda l’intervista a Giulio Tremonti del 24 maggio nella quale l’ex ministro dell’Economia rammenta che siamo passati da un’Italia dominata dalla grande impresa a un sistema fondato su una rete di medie e piccole imprese. Da più parti si chiede la semplificazione delle procedure e incombenze che giornalmente le Pmi devono affrontare, dal fisco ai rapporti con la pubblica amministrazione. In questo contesto è da salutare con favore il comunicato stampa dello scorso 24 marzo dell’Organismo italiano di contabilità che informa del progetto per standard contabili adattati alle imprese di minori dimensioni.
Il comunicato rammenta che il 95% delle società italiane redige il bilancio in forma abbreviata o sono micro imprese. Tuttavia è auspicabile che le semplificazioni superino le soglie del bilancio abbreviato e si estendano oltre le stesse: non si può affermare che le società che si collocano oltre tali soglie siano «grandi imprese», anche perché nel nostro Paese si tratta generalmente di realtà a carattere familiare, come ribadito al Festival dell’Economia di Trento (si veda il Sole 24 Ore del 27 maggio). Un limite ipotizzabile potrebbe essere quello previsto per l’obbligo di redazione del bilancio consolidato: 20 milioni di euro di attivi, 40 di ricavi e 250 dipendenti che devono essere superati per due esercizi consecutivi con riferimento a due limiti. Tra l’altro, questi limiti sono quelli previsti dall’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 139/15 con riferimento alle «medie imprese», categoria formalmente non recepita dal nostro legislatore.
Gli esempi sono molti, vediamone due. Il primo riguarda l’impairment test, ovvero le svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali, problema quanto mai attuale anche a causa della situazione economica causate dagli eventi degli ultimi anni. Nel 2016 l’Oic ha previsto l’applicazione dell’approccio semplificato per la determinazione delle perdite durevoli di valore basato sulla capacità di ammortamento soltanto alle società che redigono il bilancio in forma abbreviata e alle micro-imprese. Pertanto, con decorrenza dal 2017, sono stati sostituiti i limiti più elevati, che consentivano l’utilizzo dell’approccio semplificato alle imprese che, per due esercizi consecutivi, non superavano nel proprio bilancio due dei già citati limiti relativi al bilancio consolidato.
Ne consegue che oggi le imprese che superano i limiti dell’abbreviato devono effettuare l’impairment test utilizzando il modello di riferimento che si basa sull’attualizzazione dei flussi finanziari futuri. La scelta di abbassare i limiti citati non è stata felice perché il modello di riferimento, essendo basato su presupposti finanziari, è complicato per le Pmi che non hanno le necessarie competenze matematiche e finanziarie, così come in molti casi non le possiedono i professionisti che le seguono.
La conseguenza è che, in alcuni casi, il test di impairment non viene più effettuato. Invece, il test basato sulla capacità di ammortamento è semplicissimo e l’imprenditore o il direttore amministrativo lo comprendono con immediatezza: si tratta di redigere conti economici che si fermano al risultato ante ammortamenti e verificare se questo consente di «recuperare/assorbire» i futuri ammortamenti. Lo stesso Oic, tra l’altro, nelle motivazioni contenute nella precedente versione dell’Oic 9 precisava che l’approccio semplificato condivide le stesse basi concettuali fondanti del modello di base, e che la sua adozione si giustifica nel presupposto che, per le società di minori dimensioni, i risultati ottenuti divergono in misura non rilevante da quelli che si sarebbero ottenuti applicando nel dettaglio le regole di riferimento: allora, inutile cambiare, complicando inutilmente la vita delle imprese senza un risultato concreto.
Altra disposizione che dovrebbe essere ricondotta ai più elevati limiti citati relativi al consolidato, riguarda l’applicazione a crediti e debiti del costo ammortizzato e dell’attualizzazione. È vero che, in molte situazioni le imprese, anche per evitare le complicazioni fiscali che ne derivano, non li applicano dichiarando che l’effetto è irrilevante, questo a volte anche se border line. Si può obiettare che i debiti attualizzati consentono una miglior lettura del bilancio, dimenticandosi tuttavia che nello stato patrimoniale mancano debiti ben più consistenti, ovvero quelli dei leasing.