Dal Sole24Ore.
Il decreto legge di attuazione del Pnrr (Dl 13/2023), approvato dal Governo il 16 febbraio e pubblicato in Gazzetta il 24 febbraio, contiene nell’articolo 38 alcune novità rilevanti in materia di crisi di impresa. In particolare sulla composizione negoziata: dall’avvio con semplice autocertificazione alla dilazione delle obbligazioni tributarie e alle detrazione d’imposta per i creditori che subiscono falcidie.
Nella bozza del Dl spiccava l’introduzione della transazione fiscale all’interno della composizione: un’anticipazione dagli effetti potenzialmente “rivoluzionari” sul futuro di un istituto che stenta a decollare, poi espunta dal testo definitivo (si veda anche l’articolo sotto). Se la delusione è inevitabile, pare comunque opportuna qualche riflessione sull’occasione mancata e sulle nuove norme introdotte.
La composizione negoziata ha un destino singolare: invocata da tanti prima della riforma del Codice della crisi (Cci) e vituperata da quasi tutti dopo il suo varo, per una pretesa scarsa efficienza. Una visione indebitamente polarizzata, frutto di una ancora approssimativa conoscenza delle grandi potenzialità dell’istituto e dell’erroneo convincimento che possa essere strumento di soluzione della crisi, anziché semplice mezzo preventivo per individuare lo strumento più efficace.
D’altro canto, la composizione negoziata – che segna certamente un tentativo di indirizzare la soluzione verso formule privatistiche – si innesta in un Codice della crisi che conserva, invece, per ampi tratti l’originaria connotazione pubblicistica e una matrice giudiziale, con una conseguente contraddittorietà di fondo del sistema. In quest’ottica, la previsione di una possibilità di transazione fiscale e previdenziale (ovviamente sotto controllo giudiziario) anche nella composizione negoziata sarebbe un efficace strumento per sviluppare l’istituto.
In un sistema nel quale, come noto, la parte più rilevante del debito delle imprese in crisi è sovente rappresentata da debiti verso il fisco o gli enti previdenziali, escludere la possibilità di transazione all’interno della composizione negoziata finisce per relegare ad ipotesi del tutto marginali – se non scolastiche – il ricorso al contratto o all’accordo con i creditori previsti dal primo comma dell’articolo 23 del Cci, che costituirebbero sulla carta le due soluzioni più immediate per garantire la continuità aziendale.