Nella relazione n.96 del Massimario sulla riforma del processo civile, si fa chiarezza sul punto cruciale del rinvìo pregiudiziale anche nel processo tributario e si legge che: “Quello del rinvìo pregiudiziale è uno strumento già presente in altri ordinamenti stranieri, in particolare in quello francese17, consistente nella possibilità per il giudice di merito di sottoporre direttamente alla Suprema Corte una questione di diritto, sulla quale deve decidere ed in relazione alla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti. La lett. g) del comma 9 dell’articolo unico della legge delega demanda al legislatore delegato di introdurre la possibilità che «il giudice di merito», quando deve decidere una questione di diritto, possa sottoporre d’ufficio direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito di diritto. La legge delega, poi, delimita il tipo di questione che il giudice di merito può sottoporre alla Suprema Corte, precisando che deve trattarsi di una questione: a) esclusivamente di diritto; b) nuova, non essendo stata ancora affrontata dalla Corte di cassazione; c) di particolare importanza; d) con gravi difficoltà interpretative; e) tale da riproporsi in numerose controversie. E’, altresì, necessario che la questione sia stata preventivamente sottoposta al contraddittorio delle parti. In attuazione del principio di delega, il legislatore delegato ha introdotto l’art. 363 bis c.p.c., rubricato «Rinvio pregiudiziale», prevedendo che il giudice di merito, con ordinanza e dopo aver sentito le parti costituite, possa disporre il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto. Il primo comma dell’art. 363 bis c.p.c. elenca, poi, le caratteristiche che la questione di diritto deve avere, per l’utile accesso allo strumento in esame e segnatamente: 1) che la questione sia necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e che non sia stata ancora risolta dalla Corte di cassazione; 2) che la questione presenti gravi difficoltà interpretative; 3) che sia suscettibile di porsi in numerosi giudizi. Il secondo comma dell’articolo in esame descrive le caratteristiche dell’ordinanza di rimessione, prevedendo che la stessa debba essere motivata (analogamente a quelle con cui viene sollevata una questione di legittimità costituzionale) e, in particolare, con riferimento al requisito n. 2, si richiede che venga data indicazione delle diverse interpretazioni possibili. Alla luce di tale specificazione, sembra potersi ritenere che la questione di diritto che presenta gravi difficoltà interpretative sia quella per la quale sono possibili diverse opzioni interpretative, tutte parimenti attendibili. Il deposito dell’ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale comporta, inoltre, la automatica sospensione del procedimento di merito, ma la disposizione fa salvo il compimento degli atti urgenti e dell’attività istruttoria non dipendente dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale. Il terzo comma, poi, introduce una sorta di filtro delle ordinanze di rimessione da parte del Primo presidente della Corte di cassazione, il quale, ricevuti gli atti, entro il termine di novanta giorni, valuta la sussistenza dei presupposti previsti dalla norma. In caso di valutazione positiva, assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice (secondo le ordinarie regole di riparto degli affari); mentre in caso di valutazione negativa, dichiara inammissibile la questione con decreto. Tale meccanismo conferma che lo strumento non integra un mezzo di impugnazione e che, pertanto, non vi è un obbligo della Corte di provvedere. La Relazione illustrativa precisa che, trattandosi di questioni rilevanti, si è previsto che la Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronunci sempre in pubblica udienza con la requisitoria scritta del pubblico ministero e con la facoltà per le parti di depositare brevi memorie, nei termini di cui all’art. 378 c.p.c.. Una volta superato il vaglio di ammissibilità, il procedimento si conclude con l’enunciazione del principio di diritto da parte della Corte, espressamente previsto come vincolante nel giudizio nell’ambito del quale è stata rimessa la questione. Qualora, poi, tale giudizio si estingua, l’ultimo comma dell’articolo in esame estende il vincolo del principio di diritto enunciato dalla Corte anche al nuovo processo instaurato tra le stesse parti, con la riproposizione della medesima domanda.
Il testo, tuttavia, non chiarisce quali giudici di merito siano legittimati a proporre il rinvio pregiudiziale, se solo quelli ordinari o anche i giudici speciali (amministrativi, contabili o tributari). La formulazione della legge delega, poi ripresa dal decreto delegato, è ampia e non pone limitazioni. Sembra, quindi, che possa rientrare nel termine “giudice di merito” il giudice tributario, sia perché le sue pronunce, com’è noto, sono sempre ricorribili per cassazione per violazione di legge, sia perché l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (codice del processo tributario) stabilisce che i giudici tributari applicano le norme del predetto decreto e, per tutto quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile. Quindi, in virtù di tale espresso rinvio, dovrebbe applicarsi ai giudici tributari anche l’art. 363 bis c.p.c.. Peraltro, nel progetto di riforma del giudizio tributario era stato introdotto un istituto analogo al rinvio pregiudiziale, poi però eliminato proprio alla luce del rinvio generale previsto dal citato art. 1, comma 2. Quanto, invece, al giudice amministrativo, è dubbio che questo possa avvalersi del nuovo strumento introdotto dall’art. 363 bis c.p.c., considerato che le pronunce del giudice amministrativo possono essere impugnate dinanzi alla Corte di cassazione solo per questioni di giurisdizione. Il testo, inoltre, non pone neanche limiti con riferimento alla fase del giudizio di merito, entro cui la questione può essere sollevata dal giudice. Sembrerebbe, quindi, che il rinvio pregiudiziale possa essere sollevato dal giudice di merito in qualunque fase processuale, purché la questione sia stata sottoposta al contraddittorio delle parti. Non risulta, però, chiarito se il rinvio pregiudiziale possa essere sollevato solo nell’ambito di procedimenti volti a definire la questione con una decisione idonea ad acquisire l’autorità di giudicato, ovvero se possa essere sollevato anche nell’ambito di procedimenti la cui decisione non ha l’attitudine al giudicato, come quelli di volontaria giurisdizione o quelli cautelari. Quanto alle prospettive di successo del nuovo istituto ed alla sua efficacia deflattiva del contenzioso, sarà necessario attendere l’attuazione concreta, al fine di verificare se e quanto i giudici di merito utilizzeranno questo nuovo strumento. Solo così sarà possibile anche valutarne l’impatto sul contenzioso, già estremamente gravoso, pendente dinanzi alla Suprema Corte. Al riguardo, comunque, è stato notato che in passato il tentativo di percorrere la strada di un’anticipata investitura della Cassazione della interpretazione delle norme (in tal caso, di contratto o accordo collettivo nazionale), operato con l’introduzione dell’art. 420 bis c.p.c., che sanciva l’impugnabilità diretta per cassazione della sentenza con cui il giudice risolveva espressamente la questione interpretativa, non ha mai suscitato grande interesse tra i giudici di merito che hanno sempre preferibilmente percorso le vie tradizionali, senza ritenere di dover “isolare” rispetto al merito della controversia l’attività più strettamente ermeneutica.