Sul Sole24Ore il punto di Antonio Colaianni e Davide Di Russo sulla preparazione professionale dei revisori legali negli enti locali.
Èpassato circa un decennio dall’introduzione del sorteggio per la selezione dei revisori negli enti locali; il nuovo sistema ha senz’altro funzionato, ma presenta ancora margini di miglioramento.
Del resto il legislatore è in parte tornato sui propri passi, temperando il sistema estrattivo puro degli esordi per prevedere che il presidente degli organi di revisione in composizione collegiale venga scelto dal consiglio dell’ente tra i soggetti inseriti nella fascia 3 dell’elenco (articolo 57-ter, lettera b) del Dl 124/2019).
Il sistema attuale è quindi misto, nell’intento di assecondare – quantomeno rispetto a un componente su tre dell’organo collegiale – l’esigenza dell’ente locale di valorizzare l’intuitu personae e di scegliere le professionalità considerate più preparate alla luce del curriculum senza abiurare il criterio estrattivo di fondo.
Questo punto di equilibrio è però continuamente esposto a spinte contrapposte: da un lato l’esortazione a ripristinare un sistema esclusivamente estrattivo (da parte di chi ritiene che nello spazio lasciato alla discrezionalità dell’ente si possano annidare rischi per l’indipendenza del revisore e una tendenza alla sclerotizzazione degli incarichi); dall’altro le pressioni per tornare alle origini, o quantomeno ad ampliare ulteriormente il perimetro della designazione diretta, sul presupposto che l’ente locale debba poter confidare su un revisore «capace».
Effettivamente, l’accantonamento della designazione diretta da parte dell’ente ha indubbiamente favorito l’accesso alla carica per professionisti fino ad allora esclusi (determinando un’inevitabile turnazione degli incarichi) e ha azzerato possibili rendite di posizione.
Nel contempo qualche riflessione va fatta se sempre più enti locali lamentano il rischio di ritrovarsi revisori non sufficientemente «formati» e chiedono quindi di poter selezionare in modo non aleatorio l’organo di revisione.
Una soluzione in grado di accontentare tutti potrebbe essere allora quella di intervenire non sul sistema di selezione ma, a monte, sui criteri per l’iscrizione nel registro.
In altri termini, si potrebbe prevedere una formazione più severa e accurata: dieci crediti formativi nell’anno precedente (soprattutto per gli iscritti in fascia 1, ai quali non è richiesta una precedente esperienza) sono forse troppo pochi per poter senz’altro rassicurare circa il possesso di una preparazione e di un aggiornamento davvero adeguati (resi imprescindibili da un panorama normativo in continua evoluzione e dai molteplici adempimenti che il revisore è chiamato ad affrontare).
Si potrebbe partire da qui per poi introdurre – con un metodo di progressiva approssimazione – ulteriori correttivi in grado di garantire che il livello degli iscritti all’elenco sia oggettivamente adeguato e uniformato verso l’alto, in modo da rassicurare l’ente locale sul fatto che, chiunque sia il revisore estratto, il suo grado di competenza e preparazione sarà affidabile e congruo rispetto alla delicatezza e alla complessità della funzione.
Un veicolo per introdurre tali accorgimenti potrebbe essere la delega per la modifica del titolo VII del Tuel, mediante valutazione, nella redazione dei relativi decreti delegati, del rafforzamento dei crediti formativi nelle norme previste alla voce «formazione anche pratica dei revisori dei conti».