Sul Sole24Ore una interessante precisazione sui principi contabili: la corretta rappresentazione del bilancio d’esercizio richiede che i crediti siano oggetto di svalutazione nell’esercizio in cui si ritiene probabile che il credito abbia perduto (in tutto o in parte) il suo valore (Oic 15, paragrafo 59).
La svalutazione, di norma, deve essere effettuata a livello di singolo credito; ma (a determinate condizioni) è consentito stimare il fondo svalutazione crediti a livello di portafoglio, raggruppando i crediti sulla base di caratteristiche di rischio di credito simili.
Invece, la “perdita” viene rilevata in conseguenza della cancellazione in bilancio del credito che, innanzitutto, avviene quando i diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito stesso si estinguono (parzialmente o totalmente). I diritti contrattuali si estinguono per pagamento, prescrizione, transazione, rinuncia al credito (Oic 15, paragrafo 71, lettera a).
Inoltre, la perdita è rilevata a seguito di cancellazione del credito dal bilancio qualora lo stesso sia ceduto a terzi e con tale cessione siano trasferiti sostanzialmente tutti i rischi inerenti il credito (Oic 15, paragrafo 71, lettera b).
Risulta evidente che ipotesi quali il fallimento del debitore o il mancato pagamento di un credito di modesta entità scaduto da oltre sei mesi non sono, secondo i principi contabili, situazioni tali da consentire la rilevazione di una perdita, poiché i diritti contrattuali sui flussi finanziari non si sono estinti. È la probabilità di incasso che si è deteriorata, ma questo, a livello contabile, determina una svalutazione e non una perdita.
Fiscalmente, come detto, queste situazioni consentono di rilevare una perdita, ovvero, in presenza di un fondo preesistente e capiente, di utilizzare questo fondo. Il diverso “linguaggio” porta le società, che applicano correttamente tanto i precetti contabili quanto quelli fiscali, a incrementare il fondo svalutazione in bilancio e a decrementare quello fiscalmente rilevante.