In una attenta analisi sul sole24Ore di oggi di Stefano Pozzoli viene riportata la situazione relativa ai bilanci di molte partecipate.
La delibera 15/2021 della sezione Autonomie della Corte dei Conti sugli organismi partecipati dagli enti territoriali e sanitari sollecita una riflessione su alcuni dati particolarmente interessanti.
Il primo è relativo al fatto che un adempimento banale come l’approvazione e la pubblicazione del bilancio di esercizio non sia rispettato da un numero consistente di società ed enti: su quasi 6 mila organismi presenti nella banca dati del Mef circa 1.200 non hanno ancora prodotto, o comunque approvato, il bilancio 2018.
L’evidente conseguenza, a cui occorre porre rimedio, è la facile elusione delle molteplici sanzioni, previste dal Tusp e non solo, per le aziende in perdita. È possibile che il 20% degli organismi pubblici e i loro soci evitino le penalità varie, dalla decurtazione dei compensi (articolo 21, comma 3 e articolo 1, comma 554 della legge 147/2013) all’estinzione della azienda speciale (comma 555 della legge 147/2013), alla razionalizzazione che quattro esercizi in perdita rendono necessaria (articolo 20, comma 2 del Tusp) fino all’accantonamento al fondo vincolato delle perdite (articolo 21, comma 1) semplicemente non adempiendo al dovere di legge di approvare un bilancio nei termini?
Ancora, la Corte dei Conti rileva una differenza rilevante tra l’ammontare delle perdite societarie (oltre mezzo miliardo complessivo nel 2018) e l’accantonamento a un fondo vincolato nei bilanci degli enti previsto dall’articolo 21 del Tusp: «Nel complesso si rileva che gli enti controllanti hanno accantonato nei rispettivi fondi perdite società partecipate un importo complessivo di circa 167 milioni di euro con riferimento a 357 società controllate. … Di queste, circa il 40% (n. 148 società) presentano risultati il bilancio dell’esercizio 2018 in perdita e ad esse è riferito poco più del 50% delle somme accantonate a fondo perdite (85,43 milioni di euro); la restante parte dell’importo complessivo accantonato, pari a 82,29 milioni, è finalizzata alla copertura di perdite pregresse subite da 209 società che nel 2018 non presentano un risultato di esercizio negativo». Questo dato induce alla necessità non solo di effettuare controlli più stringenti, ma anche di rivedere una norma timida, non chiara e interpretata spesso in modo molto lasco.
L’ultimo elemento, evidenziato sul Sole 24 Ore del 30 agosto, è il carattere ancora quasi totalitario degli affidamenti diretti: tema oggi all’ordine del giorno, viste le Linee guida emanate da Anac, le richieste dell’Antitrust e le aspettative sul ddl concorrenza.
Sul punto occorre notare che l’approccio che si vuole seguire sembra però circoscritto al solo momento dell’affidamento. Il problema, invece, come dimostrano le inadempienze appena ricordate che evidentemente riguardano anche molte società in house, è il mancato rispetto di regole di ragionevole funzionamento, dalla cronicità di situazione di perdita alla mancanza di approvazione del bilancio fino all’inadeguato comportamento del socio che, in una relazione in house, non è accettabile.
In sostanza, accanto e prima della verifica del momento dell’affidamento, che spesso ha natura formale, sarebbe importante seguire il comportamento della società in house e verificarne, con costanza, la coerenza con quanto ci si aspetta da un’azienda con queste caratteristiche. Occorre preoccuparsi non di quante società in house ci siano, ma di assicurarsi che il controllo analogo venga effettivamente esercitata