Pubblicato qualche giorno fa il Rapporto regionale PMI 2020 del Cerved-Confindustria ed ecco qui di seguito il link per scaricare l’intero documento (https://www.confindustria.it/home/policy/position-paper/dettaglio/rapporto-regionale-pmi-2020-confindustria).
Il primo passaggio-chiave del Rapporto Regionale PMI 2020 curato dal Cerved in collaborazione con la Confindustria, attiene una rilevante considerazione di fondo: La lenta ripresa delle Pmi italiane aveva esaurito la spinta già prima dell’epidemia. Nel 2019 la natalità è tornata a calare, il numero di Pmi fallite è risultato di nuovo in aumento e i tassi di crescita dei ricavi si sono più che dimezzati. Su queste tendenze si e’ innestata l’emergenza sanitaria da Covid-19, che avra’ un impatto senza precedenti sui conti delle Pmi, sulla liquidità e sul grado di rischio economico-finanziario. E’ la “fotografia a tinte fosche” scattata dal nuovo Rapporto Regionale Pmi 2020, realizzato da Confindustria e Cerved, in collaborazione con Srm-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno che, in un’unica pubblicazione, integra le evidenze presentate negli anni scorsi nel Rapporto Pmi Mezzogiorno e nel Rapporto Pmi Centro-Nord
Dal rapporto emerge che “sarà indispensabile, da un lato, garantire risorse finanziarie alle imprese per superare il 2020; dall’altro, agganciare una ripresa solida, che consenta alle Pmi di ripagare i debiti accumulati e ripartire di slancio. Per questo e’ necessario sostenere i processi di investimento, di riorganizzazione produttiva e occupazionale, soprattutto per quanto riguarda le Pmi, che sono piu’ esposte al rischio di chiusura e quindi alle perdite occupazionali indotte dagli effetti del Covid-19, in particolare nel Mezzogiorno”.
Il Focus del Rapporto
Il Rapporto Regionale PMI 2020 analizza lo stato di salute economico-finanziaria e le prospettive delle 156 mila società italiane che – impiegando tra 10 e 249 addetti e con un giro d’affari compreso tra 2 e 50 milioni di euro – rientrano nella definizione europea di piccola e media impresa. Le PMI analizzate rappresentano un aggregato molto significativo, che costituisce l’ossatura della nostra economia. Con più di 93 mila società nelle regioni settentrionali (53 mila nel Nord-Ovest e 40 mila nel Nord-Est), il Nord è l’area con la maggiore presenza di PMI, che risultano comunque molto presenti anche nel Centro Italia (32 mila società) e nel Mezzogiorno (31 mila unità). Questo aggregato produce un valore aggiunto pari a 224 miliardi di euro: il 39% è prodotto da PMI che hanno sede nel Nord-Ovest, il 28% da società del NordEst, il 18% da imprese dell’Italia centrale e il restante 15% da piccole e medie imprese meridionali. La maggiore densità imprenditoriale del Nord è accompagnata da una dimensione media maggiore delle PMI, che producono in media un valore aggiunto del 30% superiore rispetto alle società dell’Italia centrale (1,6 milioni contro 1,25) e del 50% maggiore di quelle che hanno sede nel Mezzogiorno (1,09 milioni). Questi numeri evidenziano la maggiore propensione alla crescita delle imprese settentrionali, confermata anche dalla quota di medie imprese (società con 50- 249 addetti e 10-50 milioni di euro di fatturato), che nelle regioni del Nord sfiora il 20%, mentre si attesta al 15% nel Centro e al 14% nel Mezzogiorno.
Il numero di nuove società di capitali ‘vere’ (non riconducibili a precedenti imprese), il bacino da cui possono nascere le PMI con più di dieci addetti, ha arrestato una corsa che durava dal 2013, anno in cui erano state introdotte le Srl semplificate per incentivare la nuova imprenditoria. Nel 2019 sono state iscritte poco meno di 93 mila società di capitali, un dato in diminuzione rispetto al record di 98.510 unità registrato l’anno precedente (-5,8%). Il calo ha riguardato tutta la Penisola ed è stato particolarmente marcato nel Centro (-7%) e nel Mezzogiorno (-8,3%), aree in cui l’introduzione delle Srl semplificate, negli anni precedenti, aveva fortemente supportato le nuove iniziative imprenditoriali.
Secondo tutti gli istituti di ricerca nazionali e internazionali, il Covid-19 produrrà impatti sull’economia senza precedenti, superando gli effetti della recessione del 2009, fin qui la peggiore dal secondo Dopoguerra per l’Italia. Per valutare l’impatto dell’emergenza sul sistema italiano di PMI è stato utilizzato il modello predittivo di Cerved, che si fonda su un’analisi settoriale molto granulare, relativa all’andamento delle vendite di oltre 1.500 settori dell’economia italiana. Il modello si basa su uno scenario di riferimento, che stima gli impatti del Covid-19 sulle imprese, considerando il periodo di lockdown e gli effetti dei provvedimenti governativi in un quadro di progressiva normalizzazione del contesto economico nazionale e internazionale. Data la forte incertezza relativa all’evoluzione dell’epidemia, è stato considerato anche uno scenario pessimistico, in cui si ipotizza una seconda ondata di contagi e un nuovo lockdown in autunno, anche se di entità minore rispetto a quello di marzo e aprile. In base a questo modello, si prevede che le PMI italiane contrarranno il fatturato del 12,8% nel 2020, con un rimbalzo nel 2021 dell’11,2%, insufficiente per ritornare oltre i livelli del 2019. Nel complesso, questo si tradurrà in una perdita di 227 miliardi di fatturato nel biennio 2020-21 rispetto a uno scenario tendenziale di lenta crescita delle vendite. In caso di nuove ondate del Covid-19, il calo dei ricavi è stimato a -18,1% per l’anno in corso (+16,5% nel 2021), con minori ricavi che sfioreranno i 300 miliardi di euro per le PMI analizzate nel biennio di previsione.
3.Il Post-Covid
Un’analisi condotta sui bilanci delle PMI indica che più di un terzo delle 156 mila società analizzate (60 mila unità secondo lo scenario base e 70 mila in caso di una nuova ondata di contagi dopo l’estate) potrebbero entrare in crisi di liquidità nel corso del 2020 per effetto del Covid-19; sarebbero necessari tra i 25 e i 37 miliardi di euro per superare questa fase, evitando costi sociali molto importanti, con 1,8 milioni di lavoratori impiegati nelle PMI con potenziali problemi di liquidità.
4.1 Il fatturato
Secondo queste previsioni, le PMI italiane perderebbero in media il 12,8% del fatturato nel 2020 (circa il 18% secondo lo scenario pessimistico). Le stime mostrano grande variabilità, con effetti dello shock maggiori per i settori più penalizzati dalle norme sul distanziamento sociale, dalla riduzione della mobilità, dagli effetti sul commercio internazionale (ad esempio è previsto un calo del 65% per le attività di proiezione cinematografica e del 51% per i trasporti aerei), mentre per un gruppo ristretto di settori si prevede un aumento delle vendite durante l’emergenza (+35% per il commercio on line e +17% per i dispositivi di respirazione artificiale). Nella tabella 4.1, si considera un’aggregazione dei settori, che evidenzia gli effetti più marcati nel comparto dei servizi (soprattutto per la logistica e trasporti e i servizi non finanziari che includono la ristorazione e le strutture ricettive) e nelle costruzioni. L’industria farà registrare un calo del 12,4%, con una forte eterogeneità che vede perdite più contenute nel largo consumo e cali più consistenti in altri settori come i metalli (-19,6%), il sistema moda (-16,8%) e la meccanica (-15,4%).
5. I rischi di default
La caduta dei ricavi e dei margini, i potenziali impatti sulla struttura finanziaria delle PMI avranno forti implicazioni sulla probabilità di default delle PMI, con un possibile ulteriore ampliamento dei divari di rischio tra le regioni del Centro-Sud e quelle settentrionali. Nel complesso, la quota di PMI a cui è assegnato un Cerved Group Score nell’area di rischio passerebbe dall’8,4% al 13,9% nello scenario base. La quota si attesterebbe al 10,3% nel Nord-Est (dal 5,8%), al 10,6% nel Nord-Ovest (dal 6,7%), al 17,2% nel Centro (dal 10,1%), al 20% nel Mezzogiorno (dal 12,3%). Il divario tra l’area più rischiosa (Sud e Isole) e la più sicura (Nord-Est), passerebbe da 6,5 a 9,7 punti percentuali. Tra le regioni, Calabria, Sicilia, Sardegna, Abruzzo e Lazio risulterebbero quelle con la maggiore presenza di imprese rischiose (oltre il 20%); Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige, quelle con la presenza più bassa.
6.Le priorità nella policy post-Covid
Individuate dallo Studio del Cerved-Confindustria le priorità per avviare la policy e la governance delle imprese nel periodo post-covid. Inanzitutto l’Accesso al credito, Riorganizzazione interna, Ricerca e sviluppo, e ancora Digitalizzazione, Internazionalizzazione, Sostenibilità e Domanda Pubblica.